Taranto e la retrotopia di Bauman

Taranto e la retrotopia di Bauman

Stiamo passeggiando lungo il crinale del nostro futuro prossimo volgendo la testa al passato. Per costruire un'idea di avvenire serve iscriversi ai corsi serali del progresso e abbandonare lo studio del mero sviluppo. CosmoPolis lancia un appello. Si costruisca tutti assieme, senza ridicole autoreferenzialità del momento, una comunità di progetto. Solo così potremo tornare ai fasti di un tempo

 

Nel futuro risiede la speranza del presente. In un avvenire non banale, non abbandonato agli entusiasmi di facciata. L’editore Giuseppe Laterza, a proposito di orizzonti non votati al mero chiacchiericcio dei nostri giorni, parla di comunità di progetto. Di retri immateriali (scuole, giornali, associazionismo del terzo settore) come tessuto, nerbo progettuale di una qualsivoglia realtà in grado di pensare e ripensarsi. Un ragionamento che, complice la domenica uggiosa, la prima di un autunno ormai in ritirata dinanzi all’esplosione della questione climatica, mi ha ricordato l’esempio di Taranto: città in divenire, dalle grandi speranze, una sorta di luogo-cerniera tra le possibilità del momento e le suggestioni del domani. Una comunità-iato, in grado di alimentare il fossato – e il solco – tra categorie di ragionamenti non stereotipate. I tanti soldi che pioveranno sul capoluogo jonico nei prossimi anni potrebbero non bastare. Al pari delle grandi infrastrutture in via di realizzazione. E degli eventi sportivi  in grado di rinverdire la nostra prestigiosa storia trapassata. Di capitale globale, magno greco e mediterranea prim’ancora che la geopolitica si facesse beffa della politica. Potrebbero non bastare perché, per dirla con le parole di Pasolini, stiamo anteponendo lo sviluppo al progresso. Una corsa disordinata alla materialità. Un desiderio bulimico per l’affare. Un’idea personalistica – e autoreferenziale – dell’attività pubblica. Manchiamo di momenti inclusivi. Di effettiva, e soppesata, ricerca identitaria. Di quegli elementi culturali, insomma, che potrebbero dare la stura alla costruzione di una vera comunità di progetto. Perché con lo sviluppo in luogo del progresso non si rischi di vincere la battaglia ma perdere la guerra. Accarezzare il volto di una bella donna e non poterla invitare a cena. Bauman avrebbe definito questo stato di cose retrotopia. Ossia l’utopia del passato. Dio ce ne scampi…