Perdiamo l'ultimo grande nome del nostro giornalismo sportivo. Sconcerti m'induceva a leggere il Corriere della Sera dalla fine. Dalle ultime pagine. Da domani la mia preghiera laica non avrà più il suo naturale confessionale
Con Mario Sconcerti imparai a leggere il Corriere della Sera da dietro. Dalla fine. Dalle ultime pagine. Impossibile sottrarsi alla sua prosa: limpida, armoniosa, colta. Fatta di periodi brevi e fulminei. Di figure retoriche trasposte, senza alcuna soluzione di continuità, da un rettangolo di gioco ad un festival della filosofia. Di una punteggiatura minuziosa e divertita, quasi a voler porre un argine certo tra lo scrivere bene e lo scrivere purchessia. Sconcerti e Mura rappresentavano i due ultimi fuoriclasse del giornalismo sportivo italiano (assieme a Gianni Clerici, anch’egli scomparso solo pochi mesi fa). I naturali eredi di Gianni Brera. Tutti e tre convinsero Scalfari a contemplare le pagine dello sport a Repubblica nel 1982: l’anno dei mondiali di calcio vinti dagli Azzurri in Spagna. Preferivo Sconcerti a Mura. Gusto personale. Un enciclopedista francese il primo; un confuso – e brillante - geniaccio della parola il secondo. Ero spesso in disaccordo con le sue analisi, non mi piaceva la facilità con la quale passava dall’adulazione alla critica più indispettita nei confronti di una stessa squadra o personaggio. Provavo fastidio per la sua intelligenza umorale che sembrava tradire interessi altri. Ma leggere i suoi corsivi era un piacere, cavolo se era un piacere. Sin dalle prime righe restavi stregato da periodi lineari, da pennellate di’inchiostro e arguzia semantica sapientemente miscelati, ricchi di citazione, per i quali non si poteva che provare ammirazione e rispetto. Non puoi fare il giornalista se non hai letto – e leggi – tanto. Sconcerti si nutriva di libri come ci si nutra di cibo. Cosa leggerò adesso ogni lunedì mattina? Come potrò continuare ad aprire il Corriere della Sera dalle ultime pagine? La mia preghiera laica non avrà più il suo confessionale naturale. Quando ci salutano maestri cosi grandi anche la propria scrittura finisce con l’immiserirsi.